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lunedì 2 aprile 2007

Un film per le donne messicane: BORDERTOWN


Un film per le donne messicane
Ciudad Juarez, che sorge sulla linea di confine tra Stati Uniti e Messico, fa da scenario al racconto di una storia di cronaca agghiacciante di cui i mezzi di informazione si sono occupati poco. Negli ultimi dodici anni solo in quella zona più di quattro migliaia di giovani donne sono scomparse e molte centinaia sono state trovate stuprate e brutalmente uccise. Gran parte di questi omicidi rimangono impuniti, la polizia si rifiuta di condurre indagini serie in proposito e le autorità messicane evitano di occuparsi delle storie di queste donne giovani e povere il cui nome spesso non è registrato all’anagrafe e abitano in zone misere, dentro baracche senza indirizzo.
Anche dall’altra parte del confine, negli Stati Uniti, poco si sa di questi crimini che continuano a essere perpetrati ai danni delle più deboli e proprio da questo dato parte il film incentrato sulla storia di Lauren, giornalista in carriera che viene inviata controvoglia in Messico dal suo direttore per scrivere un pezzo sulla vicenda. Jennifer Lopez è anche produttrice esecutiva del film, fortemente voluto da lei e dal regista Gregory Nava, e si presenta in conferenza stampa in un meraviglioso abito a palloncino nero, accompagnata dalla signora Andrade, madre di una ragazza uccisa cinque anni fa.

Signora Lopez, che emozioni ha provato incontrando alcune madri di giovani assassinate proprio qui a Berlino?

Ho avuto diverse occasioni di incontrarle ma è sempre un’esperienza emotivamente dura perché riporta a tutto il dolore e alla sofferenza che quella situazione ha causato. All’inizio io non sapevo nulla di ciò che succedeva a quelle donne, anche se vivo negli Stati Uniti non lontano dal confine con il Messico, e appena sono venuta a conoscenza del progetto attraverso la proposta di Greg ho subito accettato di prendere parte al progetto. Mi sono coinvolta e gli ho detto che nulla ci avrebbe fermato e che avremmo fatto il film ad ogni costo. Alla fine ce l’abbiamo fatta. È stata quella prima scintilla che ha innescato il mio interesse su qualcosa di terribile che stava accadendo, qualcosa che mi coinvolge molto. Quando ho incontrato queste donne a Berlino ho cercato di mantenermi composta ma è dura. Nel momento in cui accetti di entrare totalmente in un progetto per una sola forte ragione che è quella di far conoscere il più possibile questi crimini e ispirare attivismo, allora le emozioni sono molto forti.

La sceneggiatura si basa su una storia realmente accaduta, che cos’ha provato leggendola?

Non riuscivo a credere che tutto questo stava realmente accadendo ma quando ho iniziato a conoscere le persone che ne avevano un’esperienza diretta, allora ho pensato che forse non era per caso che stavo venendone a conoscenza e ho sentito una sorta di responsabilità, che avrei dovuto fare qualcosa, qualsiasi cosa potessi.

Come si è preparata per il suo ruolo?

Greg e io abbiamo lavorato a stretto contatto cercando di andare a fondo nella comprensione della scheggiatura, di ottenere esattamente il risultato sperato. Con noi c’era anche la produttrice Barbara Martinez che conosce la zona, ha fatto molte ricerche e anche se non lo sa, molto del mio personaggio è basato sul suo lavoro perché lei è effettivamente andata a visitare le “maquilas” per capire meglio come vivono le donne che lavorano in quelle fabbriche e poi ha potuto raccontare tutto così che io avevo a disposizione questa sua esperienza diretta per prepararmi al ruolo.

Lei firma da tempo una linea di abbigliamento, è a conoscenza delle condizioni in cui lavorano gli operai delle manifatture che producono i suoi capi?

Sin dalla nascita della mia compagnia d’abbigliamento cinque anni fa, una delle condizioni che abbiamo posto affinché partisse la produzione è stata che in ogni fabbrica non fossero sfruttati bambini e non si lavorasse in cattive condizioni.

Ora che sa ciò che succede a Ciudad Juarez continuerà ad impegnarsi a favore di queste donne?
Hanno il mio totale supporto, anche attraverso Amnesty International e il sito internet che abbiamo voluto creare. Di certo continueremo a lavorare in questo senso promuovendo il film e cercando di attirare il più possibile attenzione sul tema che tratta, con la speranza che le cose cambino. Questa è l’idea.


L’esperienza di questo film ha cambiato qualcosa nella sua vita?
Certo e molto. È cambiato il modo in cui penso alle cose. Solitamente uno cerca di dare il proprio meglio nel lavoro e condurre la propria vita in modo regolare e poi ad un certo punto capita di venire a sapere cose come questa e certo, puoi andare avanti e girare la tua prossima commedia o il tuo prossimo blockbuster oppure coinvolgerti in un progetto come questo, impegnarti per un anno intero a cercare fondi e a prepararti mentre magari qualcuno ti consiglia anche di rinunciare. Io però sentivo che dovevo farlo, l’ho fatto, ed effettivamente le cose cambiano. Conoscere le madri ti cambia, rende tutto più reale ed entra a far parte della tua vita.

Signora Andrade, qual è la sua esperienza personale di militante e cosa è cambiato dopo questo film?

Io sono alla ricerca costante di prove, sono riuscita anche a fare fotografie e altre cose del genere. Sono insegnante, e ho ricevuto pressioni e minacce anche a scuola. Infatti a Juarez c’è di più e di peggio rispetto a ciò che vediamo nel film. Gli attivisti come me sono in costante pericolo e non sono autorizzati ad andare all’estero e denunciare la situazione ma ora grazie a questo film e al supporto internazionale che sta crescendo, nonostante le tante minacce e pressioni, ci sono dei progressi. Abbiamo avuto la possibilità di organizzare una commissione a Juarez per aiutare la prevenzione della violenza contro le donne e abbiamo anche un’unità speciale del dipartimento di stato che aiuta il Messico affinché le autorità lavorino bene. Più di quattrocento membri delle autorità sono venuti e tutti hanno il loro ruolo ma ora le poche cose che abbiamo ottenuto si stanno ritorcendo contro di noi perché ci sono leggi che proteggono le donne ma mancano i soldi per farle rispettare e così il governo messicano dice che non ha extra budget per questo e il parlamento dice che la commissione deve sparire e io credo che la pressione internazionale sul governo sia l’unica cosa che ci possa aiutare per convincerlo a far conoscere al mondo intero la situazione. Questo film può aiutare in questo senso, se non fosse per il film noi non saremmo qui ed è per questo che chiedo di non abbandonarci. Il film non è stato ancora mostrato in Messico ma sono sicura che se ne sappia, anche perchè in molti ci conoscono, e si sono rivolti a noi chiedendoci aiuto. Certo ci sono cose orrende che accadono e noi a volte non vogliamo neanche saperne perché vedere in faccia il male umano è dura, ma farlo è importante. Non è come in una guerra, non ci sono cause che giustifichino quello che succede, è pura perversione e non sappiamo perché accade. Chiedetevi cosa sta succedendo: perché una giovane donna viene uccisa e magari finisce in prima pagina ma poi viene dimenticata e altre donne e anche bambini vengono ancora ammazzati? Solo a febbraio ci sono già state almeno sedici vittime e l’ambasciatore messicano ci ha detto che non vuole vedere questo film, che non è reale e nulla di tutto ciò sta accadendo. Quante persone ancora devono essere sacrificate perché qualcosa si muova davvero?
Dopo la prima del film al Festival di Berlino, la Lopez ha ricevuto anche il premio “Artists for Amnesty” consegnatole proprio a Berlino dal premio Nobel per la pace Josè Ramos-Horta. Peccato davvero che Bordertown non sia all’altezza delle buone intenzioni e del progetto che stanno dietro al film.


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